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Intervista agli scultori del ghiaccio

Il nostro “primo” incontro è al caffè dell’hotel della Posta a Sondrio. Arrivano puntuali alle 18 e già nel modo di raccontarci e di chiedere li vedi : artisti appassionati da matti della loro arte, un’arte fredda per il materiale, ma calda per le emozioni che può dare. Sono Luca Bonetti, operatore culturale e artista 42 anni, Gianmario Bonfadini, architetto e catalogatore di riflessi colorati sulle nuvole (!), 39 anni.
Cos’hanno in comune: sono scultori del ghiaccio o della neve, a seconda delle temperature si dirà. E ad abriga.it hanno dato la loro piena ed entusiasta disponibilità a partecipare alla manifestazione “Note cristalline” in programma nella riserva di Pian di Gembro il 27 dicembre. Bonetti e Bonfadini saranno maestri dell’arte del ghiaccio, mostreranno come si fa a modellare il ghiaccio, a dare una forma voluta oppure improvvisata. Lo faranno essi stessi con le loro abili mani (e attrezzi), ma lo mostreranno – e questo è il dato divertente per il pubblico – ai ragazzi e alle famiglie che potranno cimentarsi nella realizzazione di piccole opere di ghiaccio con l’aiuto di Luca e Gianmario.
Conosciamoli meglio in questa breve intervista

Quando è nata la vostra amicizia?
L.B.: «Boh! Veramente non ricordo dove ci si è conosciuti, probabilmente nell’ambito del museo di Sondrio, che frequentiamo entrambi per questioni di lavoro e studio. E sul quando anche lì è nebbia completa! Ho una particolare capacità a non ricordare la scansione temporale degli eventi passati, quasi tutto quello che ho vissuto lo ricordo senza una precisa collocazione nel tempo. Forse G.M. è messo meglio da questo punto di vista…»
G.B.: «Ci siamo conosciuti al museo di Sondrio dove lui lavorava e io stavo facendo ricerche per la mia tesi di architettura».

Quando avete iniziato a realizzare sculture di ghiaccio?
L.B.: «Correva l’anno 2000 (dicembre), questo me lo ricordo, a Livigno per “Art in Ice”, comunque prima di allora ho sempre fatto pupazzi di neve in giro... neve permettendo. Per quanto riguarda come ci siamo arrivati tutto è partito dalla nostra partecipazione, sempre in quell’anno, alla prima edizione di “PietrArte”, gli organizzatori mi avevano buttato lì la proposta intrigante delle sculture di neve, e così ho chiamato Manuela Zecca e Gianmario come complici».
G.B.: «Nell’estate del 2000 il Bonnie (Luca, nda) mi ha proposto di fare il nostro primo simposio, che però non è stato con la neve, ma con la pietra: la prima edizione di “Pietrarte” a Livigno. Su questa pagina del sito http://www.snowmade.it/in_estate.html si vedono anche le altre “attività” del gruppo. Quell’estate a Livigno abbiamo conosciuto gli organizzatori di “Art in Ice” che ci hanno convinti a provare con la neve che ci è piaciuta, direi».

Da dove prendete lo spunto per le vostre realizzazioni?
L.B.: «Mah, solitamente da qualche discussione fatta a pochi giorni (talvolta poche ore) prima della scadenza dei bandi di concorso a cui si vuole partecipare. Probabilmente la fine del tempo a disposizione fa ragionare più in fretta e stimola la fantasia. Raramente abbiamo realizzato progetti concepiti con largo anticipo, ad esempio una proposta che abbiamo presentato per una manifestazione in Colorado è arrivata in tempo solo grazie all’esistenza di Internet e al fatto che il fuso orario ci dava qualche ora di vantaggio. Le idee che presentiamo vorrebbero (non sempre ci riescono, in verità) avere anche un briciolo di contenuto concettuale che le renda originali, oltre che, naturalmente, ad essere esteticamente gradevoli. Ci piace giocare su contrasti e paradossi, vedi ad esempio le sculture che riproducono con la neve cactus e piante grasse, oppure lanciare messaggi ironici e pacatamente provocatori. A Livigno un’opera riproduceva un grande distributore di benzina sistemato su una colonna corinzia pericolosamente inclinata, il titolo era “Il crepuscolo degli Dei” - tra l’altro era appena scoppiata la seconda guerra del Golfo -, oppure, in Colorado, la scultura che abbiamo chiamato “Reperto fossile dell’Olocene 2” presentava tra conchiglie e pesci fossilizzati anche un codice a barre, scelto a emblema della nostra Era e di un sistema di sfruttamento delle risorse del pianeta che rischia di veramente di ridurci tutti a breve termine in oggetti archeologici. Sono interessanti anche le sculture che sembrano proseguire nel sottosuolo: se realizzi la torretta del Nautilus di Jules Verne che emerge dal ghiaccio tutti, idealmente, pensano che sotto ci sia anche il resto del sommergibile. Un’altra cosa ci piace fare: le sculture dove “ci si può entrare”, ne abbiamo realizzate alcune e il risultato è sempre stato divertente perché interagivano di più con il pubblico, non erano solo da guardare. La prima, e quella che credo sia meglio riuscita, era un labirinto su due piani tutto contenuto all’interno del cubo di partenza di 3 metri x 3 x 3. La scultura non era fatta dai pieni ma dai vuoti, dentro corridoi, scale e scivoli creavano un piccolo percorso nel quale perdersi e divertirsi, in “Läbhyrjnthøo” solo il primo giorno sono entrate diverse centinaia di bambini (e di adulti!)».
G.B.: «Le idee di solito vengono a ridosso della scadenza della presentazione dei progetti, spinte dall’urgenza. Però per esempio un anno il Bonnie, dopo aver visitato la Biennale di Venezia, si è presentato con un sacco di bei progetti ispirati da cose che aveva visto».

Non vi dispiace che poi le vostre opere si sciolgano?
L.B.: «No, anzi, è il bello di questa forma d’arte, il fatto che sia effimera e che, sottoforma di acqua, ritorni in circolo nella biosfera. E’ possibile che sia io che tu, magari in una sangria estiva ci siamo bevuti una parte della prima scultura di Livigno, o che in una vacanza in Grecia si sia fatto il bagno in un mare che conteneva qualche goccia d’acqua arrivata dalla neve sciolta che componeva il grande “Cactus” realizzato qualche anno fa in Russia. Tutto si ricicla di quelle sculture, non ci sono prodotti di scarto. comunque se qualcuno ha un frigo abbastanza grande potremmo anche essere disposti a venderle!».
G.B.: «Non ci dispiace che si sciolgano perché è un processo naturale. Le parole che io ho usato un paio di volte ci danno l’illusione che non si dissolvano semplicemente, ma “appartengano per sempre ai continenti nei quali sono state scolpite, essendo penetrate in forma liquida nelle viscere di quei luoghi”. Una cosa che vorrei aggiungere è che però non siamo solo io e Luca. Si tratta di un gruppo di persone che nei vari simposi si alternano. Sì, è vero che io e lui apparteniamo al nucleo originario e abbiamo fatto quasi tutti i concorsi, ma per esempio anche all’Aprica penso che ci saranno anche altre due ragazze. Sicuramente Paola e forse anche Nadia».

Clara Castoldi

Articolo apparso su www.abriga.it l'1 dicembre 2008

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